my tescoma 3/2022
bollente. Una volta macinata, la carne veniva messa in un contenito re di legno grande quanto una vasca da bagno: lì dentro si preparava l’impasto unendo alla polpa – che a differenza dei salami di altre regioni, era composta da tutti i tipi di carne, compresa la coscia che altrove era destinata a diventare prosciutto – sale, vino, spezie, aglio; il tutto veniva lasciato in infusione, poi si iniziava ad insaccare, par tendo dai cotechini fatti con cotenna, carne e grasso, per poi passare alle salsicce, ai salami, alla coppa... Si continuava ad insaccare per tutto il giorno, sotto l’attenta supervisione del norcino che control lava che all’interno del budello non si formassero vuoti che avreb bero compromesso il salame. Una volta insaccato, il budello veniva bucherellato, legato rigorosamente a mano e appeso a un bastone; i salami dovevano restare per un po’ in un luogo asciutto e con il fuoco acceso, prima di essere trasferiti in cantina per la stagionatura. Fra la produzione di insaccati vari, c’era il cosiddetto “salame della levatrice”, poi diventato il “salame del battesimo”: era un po’ più lungo degli altri e insaccato nel budello gentile, un tipo di budello particolarmente grasso che lo rendeva più morbido e ne permetteva una conservazione più lunga. Più pregiato degli altri, come il nome originario suggerisce, veniva donato alla levatrice che faceva nasce re i bambini in casa e successivamente, quando quella della levatrice aveva smesso di essere una figura di riferimento, veniva invece ta gliato in occasione dei battesimi. Al termine della giornata, quello che ci si trovava davanti entrando nella stanza adibita alle lavorazioni era un vero spettacolo: il tavolo in legno grezzo, ormai ripulito da tutti gli ingredienti, il pavimento irre golare in cotto, i muri un po’ scrostati della stanza in disuso, il camino acceso che riscaldava quell’ambiente altrimenti gelido e che, lì dentro, emanava un odore che ancora sento pungermi le narici, ma soprattut to... il “baldacchino” con tutte le pertiche, i bastoni a cui si appendeva no gli insaccati, a reggere l’intera produzione di salami, coppe,
prelibatezze contese musetto e... Come recita quel detto, “del maiale non si butta via niente”. Ed è proprio vero: in un’e poca in cui più che mai è importante l’attenzione agli sprechi, questo gene roso animale ha sempre rappresentato l’anti-spreco per eccellenza, perché qualunque taglio può essere lavorato, anche quelli meno pregiati e perfino la pelle, le setole e le ossa trovano (o trovavano) un impiego. Dai noi – e sicu ramente in qualunque famiglia avesse la tradizione della produzione del salame – durante la giornata della lavorazione, c’erano alcune parti che tutti si conten devano: erano il codino, le orecchie e il müsilì , il musetto. Già al mattino, appe na arrivati a casa, c’era il fuoco pronto e questi pezzi venivano arrostiti alla brace mentre si svolgevano le prime operazioni di preparazione delle carni. In un momento di pausa, quei boccon cini erano delle vere prelibatezze e tutti facevano a gara per accaparrar sene almeno un pezzo che diventava un’insolita, deliziosa colazione.
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