my tescoma 2/2023
Il latte era l’unico alimento che la famiglia di Carmen non produceva da sé: per il resto, avevano di tutto, il nonno aveva piantato alberi da frutto di ogni tipo, c’erano ciliegie, pesche, mele, pere, nespole, albicocche... il terreno dietro casa era, come lo definisce lei, un paradiso terrestre. I fagioli venivano raccolti e puliti da lei e dagli altri bambini, poi c’erano i polli, i conigli... insomma, si mangiava bene, non mancava niente, o se qualcosa mancava, lo si procurava dai vicini. C’era anche una pergola d’uva che, oltre ad offrire una piacevole ombra, era un rifugio: quando durante la guerra gli aerei sorvolavano la zona per bombardare il ponte sull’Oglio, si sentiva il sibilo delle bombe e ci si rifugiava lì, stare in casa sarebbe stato più pericoloso. “Il sibilo delle bombe ce l’ho ancora nelle orecchie, anche adesso, quando vedo i bombardamenti alla tv, cambio canale perché mi dà un senso di nausea come allora”. Non è la prima volta che sento dire una cosa del genere da una persona anziana: anche mia zia Cecca, ricordo, parlava dei bombardamenti e qualunque cosa le ricordasse quel frastuono, la spaventava ancora dopo decenni. Io ho sem pre amato i temporali, il vento e i tuoni, ma se ero con lei, mi raccontava di come le ricordassero quegli anni lontani. Anche sentir parlare di frutteti pieni di alberi di ogni tipo mi ha ricordato un po’ le zie e casa mia, anche lì quand’ero bambina c’erano tantissimi alberi da frutto: il fico, il melograno, il pruno, i noccioli, i giuggioli, gli amareni, le piante di ribes, lamponi, fragole, persino un alchechengi e poi c’erano anche gli alberi di noce, che erano stati piantati come inve stimento perché il legno era pregiato e si sarebbe potuto vendere, una volta cresciuti. In realtà nessuno li ha mai sfruttati per il legno, ma ci hanno regalato molte annate di nocino fino a quando, ahimé, uno dopo l’altro si sono ammalati ed è stato necessario tagliarli. Oltre agli amareni, sembra che ci fosse anche un albero di càlem , è così che noi chiamiamo i duroni... peccato non avere fatto in tempo a godermelo, perché li adoro. E poi c’era l’orto, da cui ogni tanto rubavo pomodori che diventavano una merenda fresca... e che sapevano davvero di pomodoro! Qualche volta la zia Cecca mi affidava dei compiti, come quello di sgranare i piselli e i
NON È UNA NOVITÀ... nickname?
Spesso ci attribuiamo, o ci vengono attribuiti, dei nickname, soprannomi, sia nella vita reale, sia soprattutto nel mondo del web: fra i gamers, nei forum, nei social network le persone non sono conosciute con il loro nome, ma con quello che hanno scelto per accedere alla piattaforma che le ospita. Un fenomeno recente? Niente affatto: il soprannome è un’usanza che ha origini lontane e che un tempo era una necessità. Pochi cognomi in pic coli centri dove i nuclei familiari erano numerosi e i cui figli, a loro volta, for mavano nuove famiglie, richiedevano qualche dettaglio in più, spesso non proprio politically correct , per identifi care a quale ramo appartenesse una persona. In giro per l’Italia, il sopranno me è definito in modi diversi, in dialetto bresciano si chiama schitöm : l’origine di tale vocabolo sembra risalire al greco skotos-onoma , “nome oscuro”. E così nei racconti della signora Carmen troviamo il Pulàch e il Ferì , ma anch’io ne ricordo molti legati alla mia infanzia, e molti me ne hanno raccontati. Per esempio Piero Becanì (o meglio Becå nì ), il mezzadro che viveva nella casa della mia fami glia e che lavorava i nostri campi: come in molte cascine, la parte della casa in cui viveva ospitava una colombaia in cui gli uccelli facevano il nido; in tempo di guerra, con poco cibo a disposizio ne, ci si ingegnava e i contadini che disponevano di una colombaia, ci en travano per prendere gli uccellini o le uova, da qui il nomignolo “Becca nidi”.
fagioli, era un passatempo divertente. Mi affascina va anche guardare la zia che puliva i radicchi ver di, e poi li affettava in striscioline sottili: non ne ho mai amato il sapore, ma quel gesto ritmato e regolare mi ipnotizzava. A ben
pensarci, non ho bisogno di farmi pre stare ricordi altrui, perché ne custodisco davvero tanti e bellissimi e chissà che un giorno non avrò qualcuno a cui raccontarli con la nostalgia di chi lo ha fatto con me.
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Un altro che lavorava per la mia famiglia era soprannominato Zanzan ; esistono due spiegazioni, una ingenua e una più maliziosa, all’attribuzione di quel nomignolo: le mie zie sostenevano che fosse molto veloce nel lavoro e che finisse in fret ta, come suggerisce il nome, qualcuno invece l’aveva sentito vantarsi della rapidità delle sue prodezze con la moglie... Fra i parenti del mio nonno materno c’erano i Michéi , così chiamati perché in ogni generazione c’era qualcuno della famiglia che portava il nome Michele; ecco perché le figlie erano soprannominate le Michiline . Da giovane, mia madre conosceva un ragazzo che portava l’apparecchio ai denti: facile intuire perché lo chiamassero Feramentå . E che dire di quel Giuseppe che aveva un frutteto di pere, da cui il nome Pipér , o meglio Pì pér , Pino pero. C’era poi Schiå gronde - questo mi fa impazzire - un tizio che aveva una strana postura, camminava sempre con la testa inclinata, quindi ironicamente soprannominato “schiva grondaie”. Il Mago Corna invece, che in gioventù aveva lavorato nel circo, aveva un buco nel naso a cui attaccava un uncino con appeso un cestino e se ne andava in giro a raccogliere offerte; chi lo incontrava, non notando l’uncino, pensava che si trattasse di una magia. E poi gli Sgnagnå bilìne , “masticacastagne”, una famiglia che si nutriva perlopiù di castagne secche. Per non parlare di quei soprannomi che non andavano proprio per il sottile, come gli Scurezù e i Piså braghe . Portavano il mio stesso cognome e abitavano nella mia via ma non me li ricordo, i Pelati dei imperadùr : così chiamati, mi di cono, perché erano tutti molto alti e imponenti. Quanto ho riso nel ricordare alcuni di quei nomi, e che peccato, penso, che stiano scomparendo. Perché ammettiamolo: noi avremo i nostri nickname, ma non c’è paragone con gli schitöm di una volta.
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