myTescoma-4-2017

Avevo perso quasi 20 chili e non c’era un solo capo dei pochi che mi avevano accompagnato lungo il viaggio che non avesse almeno un buco, ma non erano questi i cambiamenti più radi- cali: dopo due anni sulla strada, avevo capito che tornare alla mia vecchia vita e al mio lavoro d’ufficio non sarebbe stato più possibile. Durante il viaggio mi ero appassionato alla fotografia: avevo scattato tantissime foto dei posti spettacolari in cui mi ero fermato, avevo incontrato gran- di fotografi e li avevo letteralmente interrogati, sia cercando di imparare i trucchi del mestiere, sia perché volevo capire come fosse la loro vita nomade. Alla fine del viaggio ottenni una borsa di studio da un ex Direttore della Fotografia di National Geographic, per un workshop che trovai veramente incoraggiante per intraprendere quella che sarebbe stata la mia nuova carriera.

-20 KG IN 22 MESI

Una sfida nella sfida Una delle sfide più impegnative del mio viaggio dal nord al sud del mondo è stata quella dell’alimenta- zione: mantenermi “ben nutrito” men- tre pedalavo attraverso le Americhe è stata davvero un’impresa, a quan- to pare bruciavo molte più calorie di quante ne ingerissi. Il mio peso alla partenza era di 97,5 chili e mio fratello da tempo mi ave- va soprannominato “fat ass” (c’è bi- sogno di tradurre? n.d.t), all’arrivo ne pesavo soltanto 78. Evitare di per- dere peso non era semplice, sia per- ché l’impegno a livello fisico è stato davvero pesante per non dire estre- mo, sia perché gran parte del tragit- to comprendeva zone desertiche, vette andine, luoghi piuttosto impervi in cui non è che si potessero trovare barrette energetiche e integrato- ri salini! In più, spesso mi trovavo a campeggiare... insomma, non proprio le condizioni ideali per seguire un’a- limentazione da atleta. L’importanza di tenersi in forma Dopo il mio rientro dal viaggio natu- ralmente ho rimesso su qualche chilo, ma non mi sono più allontanato dal mio peso forma: è molto importan- te anche per il mio lavoro, che mi porta spesso in zone impegnative e comunque sempre carico della mia attrezzatura, macchina fotografica, obiettivi, cavalletto e quant’altro. Alla fine di una giornata di lavoro, se non ho dolori in ogni parte del corpo significa che non sono stato molto produttivo, ma comunque benedico la forma fisica che col tempo mi sono costruito, senza quella... non ne usci- rei vivo!

Salar de Uyuni, Bolivia

Torres del Paine, Cile

Reinventarsi in una fase della propria vita in cui tutto sembrava già definito era un’impresa che mi spaventava ed eccitava allo stesso tempo. Ci sono stati momenti difficili: imparare un lavo- ro nuovo è emozionante, soprattutto se è qualcosa che ami e che hai scelto, ma naturalmente ci vuole tempo prima che le cose inizino a funzionare, prima che le persone smettano di vederti come un eccentrico con un hobby dispendioso e inizino a prenderti sul serio - e anche, dicia- mocelo, prima di iniziare a guadagnare e non dover più tirare la cinghia. I sacrifici però sono stati ripagati: arrivavano i primi ingaggi inizialmente legati al mondo della bicicletta, come interviste a ciclisti, reportage del Giro d’Italia, del Tour de France... ho sempre pensato che uno scatto non debba essere fine a se stesso, ma che debba raccontare una storia, ed è quello che ho sempre cercato di fare, abbandonando ben presto l’etichetta di fotografo e definendomi piuttosto un visual storyteller . Ho amato il mio nuovo lavoro fin dai primi incarichi perché avevo la possibilità di viaggiare e di mostrare luoghi incredibili, raccontandone le storie, anche se col tempo mi sono reso conto che - pur considerando la bicicletta un mezzo meraviglioso per spostarsi, esplorare, sentire, a ritmi a misura d’uomo - non era il ciclismo il vero protagonista dei miei scatti e dei miei video, bensì i viaggi e i luoghi che visitavo. Ero diventato un nomade, per anni non ho dormito per più di due o tre notti nello stesso letto. Era elettrizzante, ma ad un certo punto ho sentito il bisogno di avere una base, sia per esigenze lavorative, sia perché è bello sapere di avere un posto in cui tornare. La base che ho scelto è proprio qui dove mi trovo ora: la Colombia è un paese emergente in cui ho trovato terreno fertile per avviare la mia agenzia di film making. A distanza di anni, non rim- piango nessuna delle mie scelte, ma penso che allora sarei stato molto più spaventato di quanto non fossi, se avessi immaginato quanto avrebbero rivoluzionato la mia vita. Ancora oggi, molte persone che hanno sentito parlare della mia esperienza e che vorrebbero intraprenderne lunghi Ogni scatto dovrebbe raccontare una storia

viaggi in bicicletta, mi scrivono per chiedermi consiglio su quale bici o qua- le sia l’attrezzatura migliore per affron- tare avventure simili, ma io credo che la scelta dell’attrezzatura sia marginale e rispondo sempre che dovrebbero guar- dare oltre, pensare a come un anno o due passati sulla strada potrebbero cam- biare le loro vite. Sempre e comunque, li incoraggio: credo che chiunque possa imparare molto ed arricchirsi viaggian- do e vivendo un’esperienza del genere.

Il portico del mio buen retiro a Bogotà

Il mio posto preferito (e segreto) lungo la costa

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