my tescoma 1/2022

di guerra, ravioli e temporali. SPESSO UNA RICETTA È INDISSOLUBIL- MENTE LEGATA A UN ANEDDOTO, A UN PERIODO DELLA VITA O A UNA PERSO- NA. LA PRIMA CHE MI VIENE IN MENTE, SE PENSO ALLA CUCINA, È LA ZIA CECCA. La zia Cecca era la mia prozia, ma è stata quanto di più vicino ad una nonna: prima di tutto perché viveva nella casa accanto e c’era sempre, e poi perché fra gli anziani della famiglia, era la più materna, o meglio, “nonnesca”. Delle due nonne “ufficiali”, la nonna Tina la vedevo quando andavo nello studio di papà a fare i compiti al pomeriggio, lei abitava al piano di sopra e salivo a trovarla per la merenda – di solito pane burro e zucchero, mentre alla domanda “lo vuoi il lattino?” sapevo di dover rispondere no, perché il “lattino” in questione era appena munto e non pastorizzato, acqui- stato poco prima da un vicino contadino e conservato in bottiglie di vetro di dubbia provenienza. Qualche volta l’ho bevuto, il che ha sicuramente contribuito a costruirmi il sistema immunitario bionico che non mi ha mai permesso di saltare la scuola tanto quanto avrei voluto, con somma invidia per i miei compagni più cagionevoli. Ma questa è un’altra storia. La nonna Gemma invece diciamocelo, non aveva esattamen- te l’indole della nonna. Aveva un sacco di interessi, passatempi, impegni e nonostante avesse difficoltà a muoversi, fino a

CHIARA Mi trovo più a mio agio in scuderia che in qualunque altro posto, ma il poco tempo che passo a casa, spesso lo trascorro ai fornelli o a rubare qualcosa dal frigorifero o dalla dispensa, da sola o in compagnia, da sempre. E quanta vita va in scena in una cucina? Quelle quattro pareti fra le quali passiamo tanto tempo – a cucinare per chi amiamo, a chiacchierare fra un impasto che lievita e un soffritto che sfrigola – ascoltano tanti discorsi, vedono tanti sorrisi di generazioni che si incontrano… e a volte si scontrano, ma alla fine si riuniscono sempre intorno a un tavolo. Fra il nostalgico e lo spensierato, ecco i miei rac-

conti dalla cucina: dalla mia, da quelle di amici o ripescate dai ricordi d’infanzia. In ognuna hanno preso vita tanti piatti

in un intreccio di ricordi ed emozioni: gli ingre- dienti essenziali per quella che è la mia

idea di “ricetta della felicità”.

ricettario di famiglia con 50 fogli linea Delícia - art. 631690 Prezzo consigliato: € 19,90

85 anni se n’è andata in giro con la sua 500 bianca a comprare sementi o stra- ne varietà di galline cinesi, non l’ho mai vista cucinare e pur avendo un passato da insegnante – di quelle storiche, che hanno educato generazio- ni di alunni che ancora la ricordano – non penso che avesse una particola- re attitudine ad intrattenersi con i bambini. Quindi ecco, le prozie sono quel- le con le quali ho avuto un legame più profondo. Erano tre sorelle, zitelle, famose in paese come “le signorine Pelati”. Si racconta che un giorno, era- no ancora giovani, un uomo attempato avesse fatto visita al bisnonno, chie- dendone una in sposa. Non una in particolare, una qualunque. Evidentemen- te gli andò male, perché le zie sono rimaste nella stessa casa, insieme, fino alla loro morte, in un ecosistema perfettamente organizzato in cui una ge- stiva le finanze, una pensava alle faccende domestiche e una, la più intel- lettuale, era preposta alla lucidatura del rame e a dare la cera ai pavimenti. Delle tre, quella che per me era la regina della cucina era la zia Cecca: è con lei che ho imparato la mia prima ricetta. La zia Cecca passava tanto tempo a cucire, a curare la casa e le galline, e la sera stava seduta alla finestra e recitava il rosario in latino. L’Ave Maria in latino la imparai in terza media e fu allora che capii che cos’erano quelle sue “s” sibilan- ti di “benedictus fructus ventris tui Iesus” . Le galline, quelle ciccione che facevano le uova, erano di sua compe- tenza (le galline cinesi e i conigli erano della zia Lini, ma anche questa è un’altra

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